mercoledì 5 gennaio 2011

The last three months were my new born

Ho lasciato alle spalle questo blog per troppo tempo. Non perchè non avessi voglia di scrivere, ma semplicemente perchè non ero in grado di mettere ordine nel mio cervello...non perchè adesso la situazione si sia stabilizzata, ma forse ho quello slancio in più per metterci almeno un po' di entusiasmo.

Questi ultimi tre mesi sono stati intensi, ho imparato tanto, ho cercato di forgiare il mio carattere (notoriamente di merda) almeno alla luce dell'ambito lavorativo. Sì, ho sperimentato la vera vita da redazione, lavorando con un capo (VERO) che ti dà ordini, disposizioni, ti cazzia (ed è stata la lezione più importante che ho tratto, davvero), ti fa i complimenti se hai fatto qualcosa di buono (perchè anche quello ci vuole nella vita, soprattutto per una come me che cova l'insicurezza all'ennesima potenza), e. Ho imparato che sul lavoro non esistono LE AMICIZIE (questo è un aspetto del mio carattere che mi frega parecchio), ma esistono amabili conoscenze con cui condividere una pausa caffè, una pausa pranzo e chiacchiere più o meno divertenti. Ho preso sempre più consapevolezza del fatto che il mio carattere enigmatico difficilmente si coniuga con la simpatia immediata. Quella, lo ammetto, è stata un po' una mazzata perchè essendo per natura una che ama circondarsi di persone, percepire a pelle un certo disinteresse un po' dispiace. Però, come dicono qui in polentonia, Pace.

Tuttavia, come tutte le cose belle, anche questa avventura è giunta al termine, lasciandomi ancora una volta con le pacche nell'acqua e alla disperata ricerca di un lavoro. E' vero, adesso ho un paio d'armi in più nel mio rispostiglio, ma so già che questo periodo di nullafacenza, alternato da invii forsennati di curricula, mi farà sprofondare nell'odiosa e quanto mai fastidiosa "depressione". Comincerò a compiangermi, ad auto-commiserarmi, a dire frasi "succedono tutte a me". Cose da vomito, me ne rendo conto, ma sono inevitabili. Io non sono il tipo che se qualcosa non funziona, tiro fuori la grinta e dico "Devo cambiarla". No, mi crogiolo nel mio fastidiosissimo e penosissimo depressionismo post-tutto e comincio a non fare una eva. Di solito a me accade diversamente dalle altre persone: acquisto grinta quando oramai non c'è bisogno, perchè quello che volevo l'ho ottenuto. Non so, è un discorso piuttosto perverso.

Ho ricominciato a scrivere, by the way. E la cosa, sinceramente, mi fa solo piacere. Riprendere le sane e vecchie abitudini (da routinaria quale sono) mi offrono quel briciolo di sicurezza in più che mi carbura quel poco che basta.

giovedì 8 luglio 2010

La mia vita, leggendo.

"Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue, vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira" (H. Caufield)

Ho ripreso quella buona abitudine che si chiama leggere. Dopo aver passato mesi della mia vita a studiare saggi e libri di storia del cinema, sentivo la forte necessità di immergermi in un romanzo, divorarlo pagina dopo pagina, sentire vibrare il protagonista. Giovedì sera scorso, acquisti folli, sono passata alla Feltrinelli di Monza e ho fatto incetta di romanzi: Quando la notte di Cristina Comencini, Amrita e Il coperchio del mare di Banana Yoshimoto. C'era anche La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano che mi faceva cenno con la manina Prendimi!Prendimi!, ma non sono nel giusto mood per potermi permettere quel tipo di lettura. Avrei rischiato di deprimermi ulteriormente e dio solo sa quanto mi influenzino i libri e le loro storie. Avrei compiuto un suicidio interiore.

Ho divorato Quando la notte in un paio di giorni, sentendomi più vicina al brusco modo di essere di Manfred - il burbero montanaro incazzoso - che all'insicura e paranoica personalità di Marina, la mamma incapace (o meglio, che si è autoconvinta di esserlo) piena zeppa di dubbi esistenziali. Anche se la sottoscritta si lascia divorare da parecchi interrogativi, non c'è che dire. Ho chiuso il libro allo scorrere dell'ultima riga, ho serrato le palpebre e ho gustato mentalmente l'intera trama, il susseguirsi di eventi, i personaggi. Mi sono alzata, ho bevuto il mio bicchiere d'acqua. Ma quando è nato tutto questo? Un ricordo sfocato, via Luca Giordano, Napoli. Le bancarelle verdi di ferro costeggiano la strada sul marciapiede, estate. Io e mio padre ci fermiamo a guardare i libri, lui era alla disperata ricerca di alcuni spartiti per la chitarra, io sfogliavo qualche album da colorare. Avrò avuto otto, nove anni. La mia attenzione viene catturata da un libro con la copertina azzurra e con un il disegno di un bambino che indossa una salopette e hai capelli rossicci. Tom Savier? Non riesco a capire come si pronunci quel secondo nome, forse il cognome, Lo apro, lo sfoglio. La mia attenzione viene catturato da un disegno (pochi, troppe pagine da leggere!) bellissimo: il primo piano di lui che guarda dolcemente una bambina. Mio padre torna a guardarmi: "Ah, Tom Sawyer? (detto Sòier...ok, ho capito come si legge!) Vuoi comprarlo?". La mia attenzione continua ad essere catturata da quel disegno, non penso alle pagine da leggere. "Sì!", stringendolo tra le mani. Mio padre paga, io continuo a guardare il disegno. "Magari lo leggi quest'estate..."

Arriviamo a casa, mi piazzo su uno dei due divani del salone (luogo proibito per giocare, ma per leggere...) e comincio a sfogliarlo distrattamente alla ricerca di altre figure. Troppo poche. Mmm. Comincio a leggere la prima pagina, e poi la seconda, e poi la terza. Arriva ora di cena e già sono follemente innamorata di Tom Sawyer. Lo divoro poco a poco, in un paio di settimane. Diventa un appuntamento fisso: combattere la canicola leggendo quel libro sul divano del salone. E da lì scoprii il mio amore per la lettura.

Numerose sono le pagine passate sotto le mie dita, diversi gli autori e le storie. Predilizione per la narrativa, of course. Al ginnasio arriva Holden Caufield e la sensazione è la stessa che provai quando iniziai a leggere Tom Sawyer. Ad oggi, l'ho letto almeno una volta all'anno da quel lontano quinto ginnasio. Per caso ho scoperto che James Ellroy lo trova un libretto per quattordicenni. Probabilmente perchè io sono interiormente ancora una quattordicenne, e mi sta molto bene. Poi le letture sono aumentate come una parabola negli anni del liceo, quando non studiavo un cazzo (vi riporto alla mente il mio post di qualche giorno fa) e preferivo abbandonarmi sul letto di camera mia a leggere. Poi c'era il "contrabbando" di libri con Viviana, che ci scambiavamo nelle ore di lezione e commentavamo a casa, nelle nostre stanzette, quando ci illudevamo che quei mondi raccontati da autori più o meno bravi sarebbero stati nostri scenari di vita.

E poi l'università, il poco tempo concessomi dai viaggi in metro. Ho ripreso a leggiucchiare in modo più o meno attivo a partire da fine secondo anno della specialistica, quando non avevo da studiare, ovviamente. Cioè, detto tra noi, la scorsa estate.

E poi pausa. E adesso si ricomincia. E si continua altalenando. oddio, sto prendendo la brutta abitudine di mettere le "e" a inizio frase! Mi sono sempre chiesta se anche io, un giorno, avrò il coraggio di sedermi alla scrivania e cominciare qualcosa. Parallelamente alla mia fase di lettrice in erba, ho coltivato anche la passione per la scrittura. Ho una marea di piccoli romanzetti iniziati, portati avanti anche per un paio d'anni, ma leggerli fa solo tenerezza. E poi brevi storie, che condividevo solo con alcune amiche. Perchè, i più cretini pensano, scrivere è cosa semplice. Davvero? A volte è persino doloroso. Forse è terapeutico. Magari un giorno lo farò, chissà. Nel frattempo preferisco leggere gli altri, che sanno farlo meglio di me.

lunedì 5 luglio 2010

Sui (finti) giovani d'oggi ci scatarro su

"Come pararsi il culo
e la coscienza è un vero sballo
sabato in barca a vela
lunedì al leonkavallo"

(Afterhours - Sui giovani d'oggi ci scatarro su)

Cerco di non pensarci da quel (neanche tanto) lontano 22 marzo 2010, quando è stato inciso e sottoscritto in calce il voto della mia discussione di laurea. Entro con le mani sudate, la testa concentrata sui punti focali del mio progetto, mi siedo, sistemo il microfono, introduzione del mio relatore, si parte. Vuoto. Parlo, parlo, parlo, getto occhiate alla commissione, parlo, parlo, parlo, domanda della controrelatrice, rispondo, rispondo, rispondo. Esco. Che il verdetto abbia inizio. Amici, mamma, papà, elle mi incoraggiano. Io so già che il mio destino è segnato nel momento in cui quella porta di aprirà: commissione seduta è cattivo segno, commissione in piedi è grande notizia. Si apre la porta dopo cinque minuti abbondanti, entro con gli occhi chiusi, commissione seduta con il Presidente (nonchè mio relatore) in piedi. Merda. Gli occhi si riempiono di lacrime, arrivo alla cattedra della commissione delusa, stracciata, incazzata. Incrocio lo sguardo del mio relatore: gli basta un nanosecondo per leggere la mia delusione e guardarmi con affetto quasi paterno. Pronuncia la sua formula, sento a malapena il voto (tanto non era quello che volevo...o meglio, con quell'aggiunta che mi avrebbe fatto uscire saltellando e gridando), sorriso di circostanza. Sento un gelo alle mie spalle, probabilmente sono rimasti delusi un po' tutti. Orecchie ovattate, stringo mani senza incrociare i volti, se non quello di un professore che ha la faccia compiaciuta e divertita. Esco stile zombie da quell'aula, in un tragitto di pochi metri che mi è sembrato infinito, si chiudono le porte. E' finita. Urla, applausi, abbracci, baci. Complimenti, congratulazioni, brava, bravissima. Ho lo sguardo spento, la voce mi trema e vorrei piangere e urlare dal nervoso. Solo lei, Elena, capisce e mi guarda. Basta uno sguardo per capirci che lei dice: "La ferita si rimarginerà. Ti brucerà a lungo, ma credimi, passerà prima o poi". Andiamo a festeggiare al bar dell'università, io non ho voglia per niente. Sono incazzata, non è andata come volevo e non capisco perchè. Foto di rito (ma si percepisce fino al millimetro della mia pelle la rabbia), brindisi di rito, oramai ex colleghi che passano ad abbracciarmi e a farmi le congratulazioni. Nessuno, a parte Elena, riesce a capire il mio stato d'animo di quei momenti. Tutti pensano che sia una cretina perchè comunque ho preso il massimo dei voti, ti pare che devo fare quella faccia da funerale?. Fanculo, non capite un emerito cazzo. Dopo un'oretta di festeggiamenti, cominciano a trapelare le prime indiscrezioni: l'opposizione di un paio di professori alla mia lode perchè l'argomento è troppo facile, siamo ad una laurea specialistica, mica all'asilo Mariuccia? Troppo facile? Ho passato i miei ultimi (9-10) mesi a studiare la storia del cinema d'animazione, saggi, libri, scrivendo appunti anche sulla carta da culo. Ho formulato ipotesi, le ho dimostrate con enorme fatica visto che il tema centrale del mio lavoro non aveva testi di riferimento specifici. Guarda, analizza, interessati. Capire il mutamento dell'animazione italiana dall'avvento del Piano Media a oggi. Cos'è cambiato? I temi, la tecnica, la produzione? Perchè l'animazione italiana s'è dovuta vendere il culo con un prodotto facile come le Winx anzichè continuare una tradizione culturale importante, che è sempre cresciuta di pari passo con la realtà sociale? In che modo la realtà sociale ha influito sull'animazione stessa? L'animazione racconta davvero la realtà? E se sì, in che modo? Ho dato delle risposte, probabilmente non sono piaciute perchè l'argomento, a detta di certe teste, è troppo facile. Già, perchè il fatto che si analizzi, tra le varie cose (dopo oltre 120 pagine di teoria), un caso commerciale (che rappresenta le ultime 50 pagine di un percorso) è merda.

Adesso bisogna scovare il colpevole. Come La Sposa tarantiniana mi sono messa alla ricerca e non ho dovuto aspettare tanto per rintracciarlo e capire. Che stupida, bastava capirlo subito!Quel bastardo che sorrideva e t'ha guardato con compassione dopo la proclamazione. Già, il suddetto professore è il classico esempio di persona che vuole farsi amare dai suoi studenti con battute aiuannaghea, fa il simpatico e l'alternativo, destabilizza il rapporto professore-studente mettendoti al pari di un amico, si riempie la bocca di paroloni di cui probabilmente conosce solo un quarto dei loro significati, ecc. Il classico aspirante sessantottino che per questioni anagrafiche (non ha nemmeno quarant'anni) non ha potuto conoscere il '68 se non attraverso i documentari di Giovanni Minoli o sui libri, ma si batte e protesta perchè deve battersi e protestare.

Però lui vive su Facebook, ha il suo I-Phone di ultima generazione con connessione ultra-potente, gira con il suo Mac ultraleggero. Sputo sul capitalismo e le sue forme più bieche, ma alla fine non riesco a cederne alla tentazione.
Il (finto) giovane d'oggi su cui Manuel Agnelli (e me compresa) ci scatarrerebbe su. Però è coerente, il professore gggiovane, quando di fronte ad una tesi progressista che vuole allontanarsi dalle solite questioni intellettuali già trite e ritrite (mah...che so..il post-moderno o l'apocalisse, visto che hanno scritto libri, saggi e teorie persone decisamente più illustri e magari leggermente più preparate), esprime il suo disappunto affermando che è una tesi facile, limitandosi a leggerne il titolo e senza neanche preoccuparsi di sfogliare qualche pagina o, magari, dare un'occhiata al sommario o alla bibliografia.

Poi in realtà scopri che tutto questo nasce da uno scazzo personale, per colpa di. Poi scopri che il "colpa di" s'è preso il voto che volevi tu (meritatissimo, per carità) perchè uno dei due litiganti ha preferito la strada diplomatica. E nel frattempo tu covi serpe in seno, non dormi la notte, ci pensi, ci rimugini, ti fai sensi di colpa. E' colpa tua che hai osato? Probabile.

E' un chiodo fisso da cui non riesco a liberarmi. La cosa mi fa stare male, mi deprime, ha annullato completamente quel minimo di autostima che ogni tanto fuoriesce dai miei pori cutanei. Non so se mi riprenderò da questo colpo. E' stata una mazzata al mio io, m l'ha frantumato in mille pezzi. E' diventato un mio ostacolo. Molti penseranno che sono teatrale e che sto esagerando. Può darsi. Sta di fatto che sono passati tre mesi abbondanti e ancora ci penso.

venerdì 2 luglio 2010

E pensare che al liceo manco mi piaceva studiare...

Le mie palpebre si sono aperte ufficialmente più di tre ore fa. Oramai ci sono abituata, convivo con questa sveglia biologica dettata dal caldo e dalla luce che penetra nella mia nuova stanza da letto da circa un mesetto. Guardo il soffitto, guardo elle che sonnecchia beatamente lì al mio fianco, guardo la finestra spalancata (maledettabastardaarriveràl'inverno!) e infine il mio sguardo cade sul comodino ikea nero, con su il blocchetto appunti regalatomi da Elena. Lo prendo tra le mani, cerco una penna, prendo appunti (non si sa mai che mi dimentichi quell'idea fulminante), incrocio le braccia dietro la nuca e penso.

"E pensare che al liceo manco mi piaceva studiare...". Mi alzo, sprofondo nel divano del salotto e cerco su Fastwebtv qualcosa che mi rilassi. Guardo Cold Case, quella serie mi piace da impazzire. E poi colazione, quattro chiacchiere con elle in cucina prima che si metta a lavorare, sediamo distanti alle nostre scrivanie e cominciamo a scribacchiare. Io comincio la mia giornata lavorativa su duellanti.com, cerco le mie news, le pubblico, pausa. E poi mi sorprende il pensiero fisso con cui mi sono svegliata: il blocchetto appunti. A farmi compagnia e ad angosciarmi minuto dopo minuto ci pensano i post-it arancio fosforescente attaccati alla mia lavagna magnetica che mi ricordano una data: 26 luglio 2010, TERMINE MASSIMO. Un indirizzo, i documenti che mi servono e, a caratteri cubitali, capeggia un PROGETTO DI RICERCA DETTAGLIATO. Prendo il mio blocchetto, lo sfoglio, Quell'idea mi piaceva, vado alla ricerca di qualche vecchio saggio che mi è servito per la tesi di laurea e apro word. Pagina bianca, ti odio. Inizio a scrivere due righe, manca l'ispirazione anche se le idee tamburano nel mio cervello, nella speranza di uscire, prima o poi. Leggo, (ri)studio, mi auto-convinco che l'idea è una merda. Passa lo sconforto, succo di pompelmo rosa e una dose di ottimismo scavata dal nulla. Questa schizofrenia è anche dettata dal ciclo in arrivo, attenzione. Solitamente sono un po' meglio.

Maledetta me che ho deciso di provarci. Tanto poi manco mi prendono. Apro il cassetto in cerca di idee (certamente troverò l'illuminazione proprio lì!) e ritrovo il mio vecchio libretto del liceo. Sfogliandolo mi viene proprio da ridere: una sfilza di insufficienze in matematica e fisica (roba da record) e poi storia, filosofia (all'ultimo anno sono riuscita anche a prendere un 7 e un 8...con quella stronza era praticamente impossibile), latino e greco (lo scritto mai oltre il 6-...a salvarmi era un ottimo orale), italiano, ecc. Il mio voto di maturità è stato un fallimento totale, ma diciamo che è stato perfettamente coerente con il mio percorso altalenante a scuola. Che poi, alla fine, le (poche) cose che ho studiato, mi sono servite all'università e anche bene. Però è assurdo che adesso abbia deciso di compiere questo passo, passando (forse) altri tre anni della mia vita a studiare, a imparare ancora. Dieci anni fa avrei preferito la gogna piuttosto che assemblare e acquisire concetti.

Quanto si cambia in un arco di tempo così breve. Dieci anni, alla fine, non sono un cazzo. Però lo ammetto, ho un desiderio pulsante: se accade quello che vorrei che accada, vorrei tornare al mio liceo per cercare quella frustrata della mia insegnante del ginnasio, una nana con le cosce a tarallo che aveva i capelli più tinti di Pippo Baudo. E magari sbatterle in faccia i miei successi, visto che mi trattava neanche fossi una decerebrata. Mmm...però, pensandoci. Probabilmente dieci anni fa l'avrei fatto, provando anche una certa soddisfazione alla fine. Ma alla fine gliel'avrei data vinta, avrebbe dimostrato la mia totale imbecillità. Nah, lasciamo perdere.

Magari torno al mio cursore lampeggiante di word che invoca pietà: Ti prego, scrivi qualcosa! 355 caratteri, spazi inclusi, fino ad adesso. Mmm.

E pensare che al liceo manco mi piaceva studiare...

giovedì 1 luglio 2010

Necessità feisbukiane...ma davvero?


Droga, dipendenza, assuefazione...mmmboh. E' da circa un paio d'anni che ho deciso di iscrivermi a Facebook e ancora oggi mi chiedo perchè.
All'inizio è uno spasso: ritrovi vecchi amici, vecchi compagni di scuola, magari anche un paio di quelli che ti stavano amabilmente sul cazzo ma per sete di cameratismo e per pura maledetta curiosità, metti da parte dissapori e aggiungi; ma anche ex ragazzi, ex maestri, ex professori, zii, cugini, parenti tutti, ecc...(la lista potrebbe protrarsi all'infinito) che aggiungi sostanzialmente per tre motivi: 1) per salutarli, vedere se si ricordano di te e ricordare vecchi aneddoti (fase 1, o fase nostalgia canaglia); 2) per impicciarti della loro vita privata e vedere chi aggiungono, con chi si frequentano, le loro foto, soprattutto quelle scattate in serate chic o in pose assurde (fase 2, o fase orwelliana); 3) semplicemente perchè pensi che Facebook sia una grande innovazione e no, non ne rimarrai mai vittima. No, non ne saresti capace, è solo un modo per passare qualche momento della giornata e staccare il cervello (fase 3, o fase mistoprendendoperilculo).

La fase 3 merita un capitolo a parte, e al momento non ho voglia di affrontarlo.
Passata l'euforia iniziale, molti abbandonano (soprattutto gli over 45, a partire dai miei genitori che ritrovati gli amici, averci scambiato due chiacchiere, si sono dimenticati persino come si accede), ma una buona percentuale vive e vegeta su Facebook o ce l'ha sempre aperto, come la sottoscritta (si veda foto sopra). Perchè? La risposta più acida e cattiva potrebbe essere: Perchè non hai un cazzo da fare, lavativa. Vai a lavorare. Sì, è vero. Non ho un cazzo da fare. O meglio, quello che devo fare (lavoro al pc da casa, scrivo articoli e news per un sito di cinema...e inoltre sto preparandomi per un esame a settembre, ma è un'altra storia) può tranquillamente interfacciarsi con la mia necessità di spulciare ogni tanto il mio profilo e soprattutto quello degli altri.

Dalle mie parti (sono orgogliosamente napoletana, anche se trapiantata al nord), c'è un termine molto semplice che riassume questo modo di essere: capera. Etimologia: la capera era letteralmente la parrucchiera a domicilio. Lavorando a casa delle clienti, molto spesso raccoglieva sfoghi, indiscrezioni, notizie sussurrate; prometteva di non riferire ad anima viva ciò che aveva saputo in via confidenziale, ma quasi mai manteneva questo impegno. La donna pettegola, insomma.

Facebook ha moltiplicato all'infinito quella mia innata curiosità di sapere tutto degli altri, in particolar modo vedere come vogliono apparire agli occhi di tutti, nascondendo quello che in realtà sono. E' una passione perversa, me ne rendo conto. Qualcuno potrebbe obiettare, a partire dal mio ex prof di metodologia della comunicazione che c'ha scritto un libro su 'sta roba (a mio avviso un po' antiquato, ma punti di vista): "Beh, non è tanto diverso da quello che accade su un blog". Ennò. Il meccanismo sotteso a Facebook è ben più complesso. Sul blog potresti non esistere come persona reale, esserti immedesimato in un nickname, vivere una vita parallela. Ma finchè lo fai con perfetti sconosciuti, è anche divertente. Molte volte sono solo esercizi di stile, un'evoluzione della narrativa moderna. Sui social network no, è diverso. Tu esisti, hai un nome e un cognome, una foto (anzi, interi album!), i tuoi amici che passano la vita a commentarti, a taggarti, ecc. Fai il simpatico, il misterioso, il filosofo, il riflessivo, il cazzaro, ecc.

Ma abbiamo davvero bisogno di frammentare la nostra personalità? Avevamo davvero necessità feisbukiane? Io dico: sì, perchè è un macrocosmo dove, nella maggior parte delle volte, viene fuori il peggio di te. E penso che per chi ha studiato comunicazione come la sottoscritta, i social network siano delle grandi risorse per e su cui riflettere. Eggià.

She's back

Una necessità incombente: quella di tornare a scoprire un angolo online dove riversare idee, parole, pensieri. Accantonata la mia esperienza di blogger assidua da circa un anno e mezzo, mi sono ritrovata in un'afosa mattina di inizio luglio a dovermi confrontare con la voglia incessante di riprendere a scrivere. Scrivere a caso, scrivere in modalità stream of consciousness, con accuratezza, con determinazione, con rabbia, con gioia, con.

Con la stessa medesima idea che mi martellava 7 anni fa, quando diedi vita al mio primo blog, dove molti mi leggevano, molti altri commentavano, pochi realmente mi seguivano con interesse, ma soprattutto per farsi i cazzi miei. E' questa la controversa vita del blogger: siamo narcisisti con il desiderio incontenibile di essere letti, ma al tempo stesso detestiamo che qualcuno possa leggere il nostro privato e magari farsi quattro risate su. Parlo delle persone che conosci, non di perfetti ed emeriti sconosciuti.

Avevo bisogno di dare un taglio con determinate pagine del mio passato, soprattutto quelle infelici, raccolte e indicizzate per data che erano raccolte lì, nel vecchio "...dal diario di Beatrix Kiddo". No, non ho il coraggio di cancellarlo. E no, non lo farò mai, anche perchè è parte della mia vita. Rimarrà lì, online, finchè qualche amministratore della piattaforma non deciderà di farne carne da macello, per dare spazio a qualche nuovo blogger.

Mi sento rinascere, accidenti. La sensazione sprigionata dalle mie dita battendo sulla tastiera - con quel loro ipnotico tic, tac, tic, tac - non la percepivo da tempo. Sarà la mia cura, un nuovo modo per tornare a guardarmi dentro? Per adesso mi lascio trascinare e poi, chissà. Magari qualcuno verrà a trovarmi, darmi pareri, mandarmi affanculo. Sono pronta a tutto, soprattutto in questa nuova fase della mia vita. E' per questo che ho questo grande bisogno, devo inciderlo su una pagina bianca: perchè mi servirà per crescere ancora una volta, per rispondere a determinate domande e per trovare un paio di risposte che attendo da anni.

Magari non arriveranno, whatever.
Ma sono tornata.
Beatrix Kiddo (così come piaceva farmi chiamare, o The Bride, come preferite) è tornata, in una versione 2.0.
Perchèduepuntozerofafigo.