giovedì 1 luglio 2010

Necessità feisbukiane...ma davvero?


Droga, dipendenza, assuefazione...mmmboh. E' da circa un paio d'anni che ho deciso di iscrivermi a Facebook e ancora oggi mi chiedo perchè.
All'inizio è uno spasso: ritrovi vecchi amici, vecchi compagni di scuola, magari anche un paio di quelli che ti stavano amabilmente sul cazzo ma per sete di cameratismo e per pura maledetta curiosità, metti da parte dissapori e aggiungi; ma anche ex ragazzi, ex maestri, ex professori, zii, cugini, parenti tutti, ecc...(la lista potrebbe protrarsi all'infinito) che aggiungi sostanzialmente per tre motivi: 1) per salutarli, vedere se si ricordano di te e ricordare vecchi aneddoti (fase 1, o fase nostalgia canaglia); 2) per impicciarti della loro vita privata e vedere chi aggiungono, con chi si frequentano, le loro foto, soprattutto quelle scattate in serate chic o in pose assurde (fase 2, o fase orwelliana); 3) semplicemente perchè pensi che Facebook sia una grande innovazione e no, non ne rimarrai mai vittima. No, non ne saresti capace, è solo un modo per passare qualche momento della giornata e staccare il cervello (fase 3, o fase mistoprendendoperilculo).

La fase 3 merita un capitolo a parte, e al momento non ho voglia di affrontarlo.
Passata l'euforia iniziale, molti abbandonano (soprattutto gli over 45, a partire dai miei genitori che ritrovati gli amici, averci scambiato due chiacchiere, si sono dimenticati persino come si accede), ma una buona percentuale vive e vegeta su Facebook o ce l'ha sempre aperto, come la sottoscritta (si veda foto sopra). Perchè? La risposta più acida e cattiva potrebbe essere: Perchè non hai un cazzo da fare, lavativa. Vai a lavorare. Sì, è vero. Non ho un cazzo da fare. O meglio, quello che devo fare (lavoro al pc da casa, scrivo articoli e news per un sito di cinema...e inoltre sto preparandomi per un esame a settembre, ma è un'altra storia) può tranquillamente interfacciarsi con la mia necessità di spulciare ogni tanto il mio profilo e soprattutto quello degli altri.

Dalle mie parti (sono orgogliosamente napoletana, anche se trapiantata al nord), c'è un termine molto semplice che riassume questo modo di essere: capera. Etimologia: la capera era letteralmente la parrucchiera a domicilio. Lavorando a casa delle clienti, molto spesso raccoglieva sfoghi, indiscrezioni, notizie sussurrate; prometteva di non riferire ad anima viva ciò che aveva saputo in via confidenziale, ma quasi mai manteneva questo impegno. La donna pettegola, insomma.

Facebook ha moltiplicato all'infinito quella mia innata curiosità di sapere tutto degli altri, in particolar modo vedere come vogliono apparire agli occhi di tutti, nascondendo quello che in realtà sono. E' una passione perversa, me ne rendo conto. Qualcuno potrebbe obiettare, a partire dal mio ex prof di metodologia della comunicazione che c'ha scritto un libro su 'sta roba (a mio avviso un po' antiquato, ma punti di vista): "Beh, non è tanto diverso da quello che accade su un blog". Ennò. Il meccanismo sotteso a Facebook è ben più complesso. Sul blog potresti non esistere come persona reale, esserti immedesimato in un nickname, vivere una vita parallela. Ma finchè lo fai con perfetti sconosciuti, è anche divertente. Molte volte sono solo esercizi di stile, un'evoluzione della narrativa moderna. Sui social network no, è diverso. Tu esisti, hai un nome e un cognome, una foto (anzi, interi album!), i tuoi amici che passano la vita a commentarti, a taggarti, ecc. Fai il simpatico, il misterioso, il filosofo, il riflessivo, il cazzaro, ecc.

Ma abbiamo davvero bisogno di frammentare la nostra personalità? Avevamo davvero necessità feisbukiane? Io dico: sì, perchè è un macrocosmo dove, nella maggior parte delle volte, viene fuori il peggio di te. E penso che per chi ha studiato comunicazione come la sottoscritta, i social network siano delle grandi risorse per e su cui riflettere. Eggià.

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